Recensione 8/55: "Borgo sud" di Donatella di Pietrantonio

Mia madre l'aveva indovinato il futuro delle sue figlie femmine, lo presentiva dentro di sé  in quel suo modo viscerale, fisico, come una colica, una turbolenza  dell'intestino. Mia madre era nei presagi.

recensione, punto di lettura
Edizione cartacea, pag. 168 - Giudizio ⭐⭐⭐⭐⭐/5

Mia madre era nei presagi. Mia madre era nei presagi. Mia madre era nei presagi.

Ho ripetuto questa frase innumerevoli volte cercando di svuotarla della sua forza. Invano.
Siamo nei presagi di chi ci ha dato la vita. Lo siamo ancora prima di esistere, lo siamo dopo la nascita, lo saremo per sempre.
Siamo la risultanza della nostra infanzia. Siamo  nostra madre e nostro padre. Siamo nelle  loro parole,  pronunciate o silenti.
Siamo nei loro gesti accoglienti o scostanti. 
Siamo nella loro presenza o assenza. 
Siamo presagi che prendono forma e consistenza.
Affrancarsi da ciò che abbiamo ricevuto quando il dono è stato manchevole, insufficiente,  vuoto non è  un processo automatico, privo di dolore ed anche quando viene attivato, serve tempo, tanto per riconciliarsi con quel presagio diventato realtà.

L'Arminuta inizia con una valigia  scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. L'arrivo in una casa. Il ritorno in luogo sconosciuto.
Borgo sud inizia in una camera di albergo, un lungo viaggio in treno. Il ritorno in un luogo conosciuto, abbandonato diversi anni prima.
Ho amato Borgo Sud più dell'Arminuta.  Chiuso il primo ho aperto il secondo senza spogliarmi da quella malinconia regalatami dall'Arminuta. La fortuna di averli letti in continuità, uno dopo l'altro, ha fatto sicuramente la differenza

La protagonista è diventata grande  e torna a narrarci il pezzo di vita mancante, dall' adolescenza alla vita di donna. Lo fa attraverso gli stessi ricordi infedeli e frammentari, la stessa narrazione in prima persona che si srotola  in una sola notte, lo spazio temporale che la separa dall'incontro, drammatico con la realtà e ancora di più con il passato.
Un viaggio di solo andata da Grenoble all'Adriatico perché  per capire  ciò che è successo è necessario tornare e raccontarla questa famiglia.

I ricordi si affastellano, tornano prepotenti, si insinuano nella notte insonne ed il lettore, in questa camera di albergo, deve essere pronto ad accoglierli sopportandone l'amaro.  
I ricordi dell'arminuta: un matrimonio incompleto, la sposa accomodante che è stata, il suo impegno nell'insegnamento fino alla scelta di lasciare l'Italia, abbandonare il passato. I ricordi riguardanti Adriana, rimasta a Pescara, a Borgo Sud luogo di pescatori, dove la vita sembra più vera, scandalosa e pulsante, dove questa sorella, ingombrante, disperata, indifesa, ha cercato una famiglia.
Ed i presagi di questa madre assente, sconosciuta eppure così ferocemente presente nelle scelte dell'una e dell'altra, nei ritorni in quella casa familiare dove cercare ogni volta il proprio posto affettivo di figlie.

L'arminuta ed Adriana sorelle unite dallo stesso dolore  eppure così diverse. Le ho amate entrambe. L'una  alla continua ricerca di una normalità e per questo in continuo soccorso dell'altra. Arginare Adriana, contenerla  in quella vita sregolata e pericolosa, porre rimedio a quelle sregolatezze per tenere in piedi la fragile ed apparente normalità. L'altra così viva, imprudente, zingara che porta scompiglio  e verità ogni volta che torna dall'arminuta. Eppure in questo rapporto sofferto, intermittente c'è sorellanza, c'è relazione, l'unica possibile.

L'autrice con questa seconda "puntata" non perde il suo stile   riuscendo a trasferirci, ancora di più,  tutto il vissuto profondo, quello che sta nella pancia, di questa famiglia.




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