Rubrica Ci provo con...: Recensione 7/54: "L' arminuta" di Donatella di Pietrantonio


Nuova recensione per la rubrica a cadenza mensile Ci provo con... ideata da Chiara del blog La lettrice sulle nuvole in cui si legge un autore o autrice per la prima volta. Un grazie come sempre a Dolci Carloni per il banner.
Questo mese ci ho provato con un'autrice italiana ed ho fatto Bingo! Mi sono letteralmente innamorata della sua scrittura. 



punto di lettura,  recensione, francesca
Edizione cartacea - pag. 176 -
giudizio ⭐⭐⭐⭐⭐/5


Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l'altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false e taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.

Si può essere restituiti come un vuoto a rendere, come un capo difettoso, come se "l'acquisto" fatto a soli pochi mesi dalla nascita fosse stato sbagliato? La risposta affermativa a questa domanda è la narrazione in prima persona, fatta di ricordi infedeli e frammentari, della "restituita", la ritornata.
Quella dell'arminuta è la storia di chi é orfana, nonostante abbia una madre naturale ed una madre adottiva, privata di un'identità e quindi nomade, alla ricerca di quelle radici recise alla nascita, alla ricerca di una giustificazione e di una riconciliazione con il passato, introvabile, forse impossibile.



Tanti sono stati i periodi che ho riletto, che mi hanno incantato con dolore. Una cifra stilistica inconfondibile con cui l'autrice apre le porte a emozioni antiche inchiodandoci a quel sentire doloroso e preciso.  
Traghettata dalle parole sono tornata, vestita di malinconia in un tempo antico, il tempo di mia madre e di sua madre. Rimembranze di quel vissuto arrivato attraverso i racconti dell'una e dell'altra. Un tempo difficile, per la povertà, per l'ignoranza, un tempo fatto di silenzi, di incomprensioni, di abbandoni affettivi che in qualche modo, di riflesso, appartengono anche a me. I luoghi, i paesaggi della mia infanzia si sono sovrapposti alla narrazione dell'arminuta. Sarà per questo che le parole della Pietrantonio hanno risuonano così prepotentemente in me fino a sentirmi graffiare la pelle.
Mi ha colpito il modo in cui l'autrice azzera il valore affettivo e di appartenenza attraverso l'assenza di alcune parole: gli aggettivi possessivi. Ad eccezione di Adriana che diventerà sua sorella,  l'Arminuta  nel raccontare non usa le parole: mio fratello, mio padre, la mia famiglia, quelle persone non le appartengono. Queste persone sono un fratello,  il padre, la donna che mi ha concepito, la padrona di casa, la madre di.  Estranei. 

<<Mi dispiace , ma non ti possiamo più tenere, te l'abbiamo già spiegato.>>
È con queste parole, comunicate da un giorno all'altro dall'adulto che fino a quel momento ha chiamato papà e che da ora in poi dovrà chiamare zio, che a tredici  anni l'arminuta viene lasciata, senza una spiegazione, davanti alla porta di casa della sua vera famiglia. Quello che trova in un paesino vicino Pescara è un gruppo di persone sconosciute. Una sorella, Adriana,  poco più piccola di lei, una bambina con le trecce allentate, vecchie di qualche giorno. Era mia sorella ma non l'avevo mai vista. È lei ad accoglierla, l'unica con cui allaccerà un rapporto serrato, figlio di un bisogno affettivo e materiale.
Trova una donna, La donna che mi aveva concepita non si è alzata dalla sedia. Il bambino che  teneva in braccio, si mordeva il pollice [...] non sapevo di avere un fratello così piccolo. Un uomo, il padre,  che uscito dalla camera da letto le dice senza tanto interesse: sei arrivata. E poi gli altri tre fratelli, Vincenzo, il più grande che non la vedrà come una sorella, Sergio il più cattivo e Domenico.
Una famiglia numerosa, povera, dove è necessario difendere anche il piatto a tavola, dove si dorme in due in un letto singolo, dove si sopravvive. Una realtà che somiglia ad un brutto sogno. Non ci sono più gli agi, le tenerezze, le attenzioni vissuti con chi fino a quel momento ha chiamato mamma e papà e quella parola mamma, non più pronunciabile, mai più pronunciata, svuotata di ogni valore,  risuonerà ignota dentro di lei per tanti, troppi anni. 

La protagonista indiscussa di questo racconto è la famiglia che porta con se le radici e l'abbandono, l'appartenenza e l'esclusione, i legami e l'estraneità, la tenerezza ed il dolore, l'accoglienza ed il rifiuto,  la sicurezza ed il vuoto. 
Leggere l'arminuta vuol dire fare un percorso a ritroso, tornare a quel legame di sangue con chi ci ha dato la vita, a quel luogo di incontro  o di assenza tra madre e figli in cui avviene l'imprinting determinando  ciò che siamo o non siamo in questa vita.



Ed ora andate a curiosare  dalle altre partecipanti alla rubrica:

 

Commenti

  1. Ho visto molto spesso questo libro e mi incuriosisce molto

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  2. Concordo in pieno con il tuo giudizio. Ho amato molto questo libro ma leggerlo è stata una sofferenza

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  3. Ho letto qualche anno fa il libro. Ho sofferto dalla prima all’ultima pagina. E quando mi sono chiesta quale fosse il giudizio in merito, mi sono risposta che mi sembrasse incompleto. Che mancasse qualcosa. Però ho intenzione di leggere altro di questa autrice

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  4. Non lo conosco ma dalle tue parole si capisce che è una lettura sicuramente forte e impegnative e per quanto mi riguarda certe tipologie di storie vanno lette solo al momento giusto altrimenti si rischia di apprezzarle poco. Me lo segno quindi ma non per adesso

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  5. Un libro complesso che mette a nudo valori che a volte dimentichiamo, quelli della famiglia. Una bella recensione di un libro che lascia traccia di sè

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  6. Ho sentito nominare più volte questo libro ma non mi sono mai soffermata neanche sulla trama. Una lettura sicuramente non facile ma interessante

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  7. Non conosco questo romanzo, ma penso che non faccia il caso mio

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  8. sono molto contenta che ti sia piaciuto! Non credo che questo libro faccia per me ma ho apprezzato la tua recensione

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