Recensione 17/64: "Le quattro casalinghe di Tokio" di Natsuo Kirico

 Un cadavere è ripugnante ma non si muove. Mentre Kazuo avrebbe potuto cambiare la sua vita.
Sì, i vivi procuravano più fastidi dei morti.

Leggere questa frase alla pagina centosessanta mi ha fatto sorridere di incredulità. Pensavo fosse una battuta d'effetto e niente più. Invece no. Le restanti quattrocentonovantadue pagine mi hanno fatto dire la stessa cosa. I personaggi vivi di questo  agghiacciante noir creano un sacco di fastidi e credetemi se vi dico che il termine "fastidi"  per ognuno di loro è riduttivo.


Punto di lettura
Edizione Cartacea, pag. 652, valutazione⭐⭐⭐/5


Probabilmente non sono arrivata ben equipaggiata alla lettura anche se la trama è molto chiara: la giovane e bella Yayoi Yamamoto poco prima di recarsi a lavoro, per affrontare lo stancante turno notturno da mezzanotte alle sei di mattina, strangola il marito con la cintura dei pantaloni dopo che quest'ultimo ha ammesso di aver dilapidato tutti i loro risparmi al gioco e con una giovane accompagnatrice. Le tre colleghe e confidenti  la aiutano a sbarazzarsi del cadavere. La soluzione è semplice trattare il corpo senza vita di Kenji come si trattano i cibi: sezionarlo in pezzi precisi, impacchettarli e distribuirli qua e là per la città, dentro ai contenitori dell'immondizia.
Dicevo, non sono arrivata preparata perché pensavo che l' evento trucolento descritto fosse il centro della storia ed invece è solo l'introduzione a tutto il peggio ed il macabro che viene dopo.

I quartieri di Tokio, una città descritta  come opulenta, corrotta, violenta, fanno da sfondo alla storia delle quattro donne, ognuna con il suo vissuto ma tutte accomunate  dal lavoro nello stabilimento descritto come un armadio in acciaio inossidabile in cui si producono  colazioni e pasti pronti, da una rabbia profonda repressa e da un bisogno di denaro fonte illusoria di libertà e di riscatto. Ho trovato interessante questa costante associazione tra il godimento ed il male, il godimento e l'odio. Meriterebbe un'analisi approfondita. Superare i confini grigi della solitudine, della desolazione in cui hanno lasciato cadere la loro vita mette in moto una serie di azioni cruente. Ogni personaggio dichiara un subdolo piacere nel perpetrare il dolore, nell'infliggere la morte violenta. Un modo malato di sentirsi vivi e pieni di potere.

Eccole le nostre protagoniste:
Masako Katori quarantatreenne, la più lucida, la più inafferrabile, fredda, inaridita da rapporti familiari, con il marito ed il figlio, stagnanti. Era come se Masako fosse circondata da una barriera che impediva alla gente di avvicinarla, come se portasse una specie di "sigillo" che contraddistingue chi lotta da solo contro il mondo intero.
Yoshie Azuma, cinquantacinquenne, una donna che ha fatto dello zelo il proprio principio di vita.  Anche se si sentiva una schiava, anche se temeva di essere costretta a servire in eterno, se non era lei a lavorare nessuno lo avrebbe fatto al suo posto. [...] Nessuna alternativa. Altrimenti sarebbe stata punita.
Kuniko Jonouchi trentacinquenne, con il sogno di voler essere una donna diversa, in una casa diversa, con un uomo diverso ed un lavoro diverso. La delusione per la realtà ed il senso di inferiorità pertinace vengono sfogati con acquisti sfrenati e cibo. I primi le portano debiti, il secondo le porta obesità.
Yayoi Yamamoto la più giovane,  delicata, la più sensibile, la più bella in assoluto tra tutte le operaio del turno di notte, eppure l'assassina.

Intorno a loro gli altri personaggi tutti magistralmente descritti nella loro dissolutezza interiore e soprattutto lui Satake il più ferale di tutti. 
Satake e Masako sono i veri protagonisti, l'essenza del libro. Inevitabilmente attratti dal reciproco lato oscuro come calamite.
Satake  ha posto un sigillo, lo stesso di Masako, sulla propria anima. Le bestia che alberga in lui non deve uscire. 
I suoi occhi erano una palude. [...] sembrava che sul fondo di quelle acque torbide, gelide come ghiaccio, tra lussureggianti erbe lacustri vivesse una creatura misteriosa. 
Il loro incontro, scontro porterà ad un epilogo finale in linea con l'atmosfera  funesta. 

La struttura narrativa e la scrittura cruda mi hanno ricordato i film di Quentin Tarantino. Ogni capitolo è una scena dello stesso evento descritto dal personaggio di turno. La scrittrice è abile nel farli ruotare  intorno agli eventi e nel portare avanti la trama.   Il lettore avrà così modo di  conoscere i pensieri neri e la parte assegnata ad ognuno di loro nella vicenda avendo una visione dell'insieme terrificante. Una palude fetida, per l'appunto, da cui si viene solo risucchiati verso il basso. Nessuna possibilità di uscire. Non fate come me, non illudetevi, non c'è niente  a cui aggrapparsi  in questo libro ed anche il titolo dell'ultima parte La via d'uscita non porta luce.

Non mi è piaciuto nessun personaggio ed ho provato disgusto per il sordido male covato in ognuno di loro, però faccio i miei complimenti alla scrittrice. Natsuo Kirico ha saputo far emergere in me un senso fisico di nausea, una repulsione fortissima, tanta da avere difficoltà ad aprire  le pagine anche ora e proprio ora ho solo voglia di riporre velocemente il libro nello scaffale della biblioteca per paura di ritrovarmi le mani intrise di odio.
Consigliatissimo per gli amanti del genere, non per me.

Ho scoperto in rete il titolo originale dell'opera giapponese: Out. Concordo con chi ha criticato la scelta del titolo per la versione italiana: le quattro casalinghe di Tokio, lo trovo poco affine al contenuto.

Commenti

  1. ecco vedi questo è uni di quei libri che non attraggono per nulla

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Concordo con te. Io invece sono stata incuriosita, dal titolo, dalla sinossi ma posso affermare con certezza che non fa per me.

      Elimina
  2. Ho scoperto che in giapponese il sottotitolo era relativo alle casalinghe. Probabilmente per la loro cultura la persona che lavora part time e si occupa della casa è definita comunque casalinga, diversamente da come la intendiamo noi

    RispondiElimina
  3. Ho scoperto che in giapponese il sottotitolo era relativo alle casalinghe. Probabilmente per la loro cultura la persona che lavora part time e si occupa della casa è definita comunque casalinga, diversamente da come la intendiamo noi

    RispondiElimina
  4. Ho scoperto che in giapponese il sottotitolo era relativo alle casalinghe. Probabilmente per la loro cultura la persona che lavora part time e si occupa della casa è definita comunque casalinga, diversamente da come la intendiamo noi

    RispondiElimina
  5. Ho scoperto che in giapponese il sottotitolo era relativo alle casalinghe. Probabilmente per la loro cultura la persona che lavora part time e si occupa della casa è definita comunque casalinga, diversamente da come la intendiamo noi

    RispondiElimina

Posta un commento