Recensione 34/82: "Tre gocce d'acqua" Valentina d'Urbano

Che non so se si chiama amore questa stringa che ci tiene insieme, ma qualunque cosa sia ci ha reso tutti ciechi, egoisti, vulnerabili. Ché le famiglie sbagliano sempre, che se ami qualcuno e lo ami troppo  non ne fai una giusta.

 

Punto di  lettura
Edizione cartacea, pag. 372, valutazione ⭐⭐⭐⭐⭐/5

Di cosa parla questo libro? É la prima domanda che un lettore si pone e si  parte dalla trama per spiegare cosa abbiamo letto. Questa volta, però, non so cosa rispondere. 
Chiusa l'ultima pagina sono andata a rileggere la sinossi riportata nella seconda di copertina e l'ho sentita  insufficiente, badate bene non perché sia scritta male anzi, perché quello narrato nelle pagine va oltre il susseguirsi delle azioni su cui poggia la trama. La D'urbano ci rivela il rumore sotterraneo, assordante delle emozioni quelle che sfribrano, consumano, riempiono e  lo fa con una scrittura densa,  fatta di periodi che sconquassano, di parole ed aggettivi inscindibili con cui inchioda i personaggi.  Lo fa con un dialogo serrato, franco attraverso la voce  della protagonista femminile, Celeste. Lo fa in modo diretto, senza orpelli cercando di capire. La racconta a noi  la radice celata dietro ad ogni azione, ad ogni bugia, ad ogni silenzio ad ogni strappo a quel non riuscire a definirsi ripercorrendo trent'anni di vita. Lei racconta e noi ascoltiamo con i sensi, un dialogo viscerale da cui è impossibile sottrarsi.
Allora la domanda giusta da porsi davanti ad un libro del genere è: dove arriva questa storia? 
 
Pietro, Nadir, Celeste fanno parte della stessa famiglia.
Pietro è fratello di Celeste solo per parte di padre.
Pietro è fratello di Nadir solo per parte di madre.
Nadir e Celeste hanno in comune Pietro, il fratello di dieci anni più grande.
Nadir e Celeste invece sono nati nello stesso anno da genitori diversi. Ma cosa sono tra loro?  Con gli altri si definiscono  fratelli o meglio sono il fratello di tuo fratello, la sorella di tuo fratello  ma tra di loro rimangono irrisolti, indefiniti, sgraziati eppure sono fatti della stessa materia, della stessa bestia abissale che saliva a galla, respirava, si mostrava.
 
Pietro è un combattente, combatte per proteggere sua sorella da suo fratello e viceversa, combatte  per difendere dei valori assoluti più grandi di lui alla base di una vita libera, in un paese libero. Capelli rossi, sospiro rassegnato di chi sa già cosa l'attende e di una bellezza inutile era bello in quel modo sfacciato e feroce tipico di quelli che della bellezza non se ne fanno nulla.
Celeste è riccio di mare, la sua consistenza priva di struttura è come l'interno del riccio di mare perché  Celeste ha una malattia genetica l'osteogenesi imperfetta: le sue ossa sono di vetro possono rompersi per un nonnulla. Celeste è fragile dentro, si rompe, si incrina, si spezza eppure è lei a raccontare in prima persona tutte le fratture di questa famiglia, lei che con le fratture ossee ci convive, lei  che ci vive dentro a sta famiglia, le appartiene. 
Nadir è uno zingaro. Spigoloso dentro e fuori, di una bruttezza irrimediabile , quasi magnetica, pericolosa. Nadir strappa, squassa, prende, molla, passa sulla vita altrui e sulla propria investendo ogni cosa, per stare avanti, attraversa le cose senza lasciarsi attraversare. Con quegli occhi diversi per l'eterocromia non è facile scovarlo negli sguardi, sembra sempre che stia guadando oltre, altro ed invece sarà lì, nel suo modo di guardare Celeste  il segno inconfondibile della loro connessione.
All'epoca non sapevo che m'avrebbe guardato così per sempre, per tutta la vita. Che sarebbe stato il suo modo di riconoscermi, di comunicare con me in mezzo alla gente.

Nadir e Celeste si studiano, si guardano, si attaccano, si odiano, ma più di tutto amano quel fratello più grande, distante immerso nei suoi studi, nei suoi ideali, capace di un amore distratto. Nadir e Celeste sono avversari sin dal primo incontro si  contendono Pietro, il suo affetto.
Eppure  sono uno l'estensione dell'altra. In quei continui assalti  lunghi un trentennio imparano a riconoscerci, come animali, il loro legame diventa vischioso, unico e impenetrabile. Diventa quel mostro interiore quiescente e vorace che scava per definirsi. A tenerlo a bada la presenza di Pietro, un monito per limitare l'incontro scontro di due materie grezze, feroci.
 Pietro Nadir, Celeste hanno la stessa radice, si appartengono, si incastrano  è per questo che non sono riuscita ad amare una più degli altri.  Li ho amati tutti e tre: la fragilità di Celeste, la ruvidezza  di Nadir, l'inafferrabilità di Pietro e la loro resistenza, matrice comune. 

Dove arriva questa storia? Alla pancia. La storia della d'Urbano arriva alla pancia e non ci sono mezze misure. I personaggi ci hanno dialogato con la mia pancia, sono arrivati dritti dritti lì dove il magma delle emozioni si alimenta, alla radice. 
Leggere di pancia  è un atto faticoso, ci si ferisce: il senso di stretta nelle viscere, il respiro corto, i contorni che sbiadiscono a fuoco rimangono Pietro, Celeste, Nadir e tu. Leggere di pancia necessita di battute d'arresto per riprendere aria ma non illudetevi, quei tre nella pancia continuano a lavorare e  ovunque lo posassi  questo libro dalla copertina blu mi chiamava, un richiamo inarrestabile, la storia da concludere.
Ho faticato? Sì. Ho sofferto? Sì. Ci sono morta dietro a quei tre ma cavolo quanto l'ho amata sta storia.

Grazie Valentina d'Urbano tu non hai solo interpretato le crepe degli altri, frugato nei loro nascondigli, tu mi ci hai messo dentro a quelle crepe a quei nascondigli e quello che ho sentito mi ha fiaccato e riempito l'anima. 

 


Commenti