Recensione 47/95: "Oliva Denaro" di Viola Ardone.
Anche dalla terra bruciata dal sale può rinascere la vita.
Questo
libro è denso, si rimane invischiati nella sua densità ma è un bene. Starci dentro pagina dopo pagina ci sveglia, non è sempre piacevole immergersi in qualcosa di intenso ma qui non se ne esce fino alla fine perché si diventa avidi di parole quelle dell'autrice e perché questa storia parla
di noi, noi sessant'anni fa.
Edizione digitale, pag. 312, valutazione ⭐⭐⭐⭐⭐ /5 |
I protagonisti costruiti dalla penna di Viola Ardone, Amerigo nel Treno dei bambini e Oliva qui, non si tirano indietro si raccontano in prima persona senza vergogna si confidano con chi vorrà ascoltarli parlando con voce popolare, risvegliando la coscienza e la memoria storica. Il racconto di Oliva Denaro obbliga a scrollarsi di dosso il vestito del benessere moderno, in cui tutto è un diritto tutto è scontato, per ritrovarsi in un tempo, non molto lontano, in cui la libertà di scegliere significava stare dalla parte sbagliata
La storia di Oliva copre un ventennio: inizia nel 1960 e si conclude nel 1981, una data importante nel cammino verso quella libertà di scegliere. Conosciamo Oliva quando è ancora una ragazzina spensierata, libera, di lì a poco si trasformerà in donna attraverso l'evoluzione naturale del corpo ed attraverso la forza violenta di un atto perpetrato da chi non sa accettare un no. Siamo a Martorana un paesino della Sicilia in cui le parole vergogna e svergognata hanno un significato pesante per le donne, in cui giustizia è parola scivolosa, dove l'onore dell'uomo viene garantito con l'articolo 587 del codice penale "il delitto d'onore" e l'onore della donna viene calpestato con l'articolo 544, "il matrimonio riparatore", perché la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia.
Chinati giunco che passa la piena, questo le dice il padre. Oliva è un giunco ascolta ed accetta le regole tramandate dalle donne alle donne, di madre in figlia per non essere svergognate, brocche rotte. Ci sono le regole per il ballo: stai lontana dai maschi, non cantare a squarciagola, non agitare i fianchi come un'indemoniata; quelle del corpo: non gesticolare, non ridere a bocca aperta, non stare alla finestra; le regole per il matrimonio, per i funerali, quelle del rosario, quelle della tavola; quelle della donna: sposati, fai figli e bada alla casa; quelle del marchese: cammina ad occhi bassi, riga dritto e statti in casa.
Oliva le conosce, come conosce le declamazioni della madre: la vanità è figlia del dimonio, una femmina che fa rumore non è seria, la bella si rimira e la brutta si marita, chi non ha marito non ha nome, femmina che sorride ha detto sì, non alza mai la testa, annuisce, ma a noi lo confida cosa le piace e cosa non le piace, lo confida in quella densità di regole e imposizioni.
Ma quando alle maglie strette con cui le donne si incatenano si aggiunge anche il cappio al collo, la legge sul matrimonio riparatore per quella violenza subita, allora Oliva impara a dire no alle regole dell'obbedienza.
Chinati giunco che passa la piena e arriva il momento di alzare la testa.
Questo le dice il padre il personaggio maschile che più ho amato per i suoi eloquenti silenzi, per il suo parlare attraverso la terra: è la terra ad averlo cresciuto e dal lavoro contadino trae i suoi insegnamenti. Il no di Oliva diventa il no del padre insieme a braccetto per tutto il paese sfideranno le leggi non scritte dell'onore e del disonore.
É a lui, solo a lui, che l'autrice nell'ultima parte della storia dà una voce unica, indimenticabile, come quella di Oliva, in un dialogo a distanza tra i due in cui avrei voluto urlare, piangere e sperare che non finisse mai per bellezza e soprattutto per la dignità che emana.
Con questa seconda prova l'autrice non delude, anzi, si conferma nuovamente una grande narratrice di storie che affondano nella terra, quella del nostro sud, quella bruciata dal sale, la terra di Amerigo nel Treno dei bambini, la terra di Oliva Denaro ma anche la terra di Franca Viola e di tutte le donne che hanno imparato a dire no.
Nel 1981 gli articoli 544 e 587 furono abrogati.
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