Recensione 1/137. Vite mie di Yari Selvetella.

 L'amore pretende efficienza e io non sono più un bravo esecutore.


Edizione cartacea, pag. 250
Narrativa
Editore: Mondadori
⭐⭐⭐/5

Vite mie è una mappa senza i segni convenzionali per orientarsi, vi perderete, inevitabile, visto che non è il mondo reale quello tracciato e setacciato nelle pagine bensì il flusso di pensieri, ricordi, emozioni di un uomo inceppato.
Vite mie è la mappa che il protagonista proverà ad utilizzerà per sbloccare l'ingranaggio della sua vita, per provare a disperdere  quei ricordi dolorosi affidandoli  alla città eterna  in cui tutto viene impastato, strato su strato.

Non so più amare, chiedo perdono a tutti. 
Inizia così la dichiarazione di  Claudio Prizio, il protagonista, un uomo di quarantacinque anni nato, cresciuto a Roma dove vive insieme alla famiglia. Lo dichiara senza mezzi termini perché Claudio se ne rende conto che inizia a dimenticare le cose, gli impegni, non sa cosa ha fatto poco prima e cosa dovrà fare subito dopo.
Amo per sollievo, per darmi da fare, per salvarmi, per dedizione, perché mi piace ritenere che sia necessario, ma non mi riesce bene come un tempo.
Una dichiarazione forte, tanto più se nell'amore Claudio ci ha sempre creduto,  si è sempre battuto, ci si è sempre dedicato, ma ora non ne è più capace, il tempo passa, le cose cambiano, i bambini crescono e chi c'era una volta non c'è più.

I temi trattati in questa narrazione tutta introspettiva sono molti, uno dopo l'altro, uno sull'altro in un flusso continuo a tratti visionario, a tratti onirico.
Claudio ci parla delle parentele non reciproche, il capitolo più bello per me, in cui ci presenta la sua famiglia ed il particolare flusso di amore che circola. Claudio vive con Agata dal loro rapporto è nata Micol, insieme a loro ci sono Carlo, ormai adulto e Tiziano i figli di G. la prima compagna di Claudio che non c'è più ed infine troviamo Nico, il figlio di Claudio e G. 
Tra di loro
 non conto il ruolo assegnato, padre, madre, padrigno, sorellastra etc. bensì la relazione: il nostro nome proprio è, per ciascuno, un'idea di rapporto umano che va ben al di là di ogni  definizione.
Ci parla del tempo con cui sezioniamo le nostre giornate cariche di impegni, un'ossessione per il protagonista. Il tempo dilatato di questo racconto  in cui il passato irrompe nel presente, con cui anche il lettore deve fare i conti perché è probabile che non non sempre ci sentiremo allineati nella storia.
Ci parla delle simmetrie tra presente e passato, dei riflessi nella vita degli altri quando Claudio si riconosce nelle persone che incontra.
Ci parla della malattia, della sofferenza, della morte con queste tre signore è necessario fare i conti soprattutto quando una arriva inaspettata  nella vita di una famiglia. 
Ci parla di Roma, una città multiforme, la città dove tutto può diventare eterno e quindi immortale.
E ci parla di G. la sua prima compagna, questa donna non più presente, dal respiro regolare, dall'odore di miele, con il suo esserci senza essere indispensabile, la figura  che più mi e piaciuta e mi ha scaldato il cuore.

Ho sottolineato molti brani in questa lettura quelli che hanno risuonato in me portandomi a riflettere ma ho anche fatto fatica ad entrare in alcuni percorsi mentali, in alcuni passaggi onirici e visionari del protagonista che rimangono ermetici. 
Vite mie è un romanzo complesso, ricco, fatto di strati, un po' come la città eterna così bene descritta  e forse proprio come Roma  il protagonista, l'autore cerca in questo flusso ininterrotto di comprendere, accettare e superare  l'inesorabile cambiamento, la morte lasciando ai posteri la possibilità di ritrovare tracce di vite passate per renderle eterne. 
 

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