Recensione 32/168. Il passeggero di Conrad MacCarthy.

A te sta bene? Non avere nessuno?
Western si fissò la mano. Aperta sul tavolo. Dopo un attimo disse: Nessuno me l'ha mai chiesto. Non sono stato interpellato.
Non hai voce in capitolo sulla tua stessa vita.


recensione
Il Passeggero
Cormac McCarthy, 
Einaudi editore, pag. 392
Narrativa straniera
Traduzione a cura di Maurizia Blamelli
⭐⭐⭐⭐/5

Il passeggero  è solo l'amo a cui abboccare per rimanere impigliati e farsi trascinare dalla mano dell'autore in mezzo alla corrente delle parole. 

Trama:
durante una missione di recupero al largo della costa del Mississippi, Bobby Western vede quel che non avrebbe dovuto vedere: un JetStar apparentemente intatto adagiato sul fondale e, in cabina, chiome fluttuanti, bocche aperte e occhi vuoti, nove corpi senza vita. Da dove viene quell’aereo, che fine ha fatto la scatola nera, e che ne è stato della decima persona sulla lista passeggeri? Queste le domande a cui Bobby, perseguitato da due emissari governativi «con un’aria da missionari mormoni», non sa dare risposta. Capisce allora di dover scomparire. Del resto a fuggire ci è abituato, da tanto tempo è inseguito dai sensi di colpa nei confronti del mondo e di lei, Alicia, l’amore del suo cuore, la rovina della sua anima. 
Alicia Western, sua sorella. Mente matematica sopraffina ed esperta mondiale di violini cremonesi, donna bellissima e perciò più difficile da perdere, «perché la bellezza ha il potere di suscitare un dolore inaccessibile ad altre tragedie», anche Alicia, come Bobby, ha guardato dove non doveva guardare, nel cuore delle tenebre. Visitata sin da bambina dalle «coorti», un’accozzaglia di allucinazioni da vaudeville capeggiate da un piccolo focomelico scurrile chiamato il Kid, e afflitta da un amore che offende, Alicia ha provato a opporre l’ordine del numero al caos della vita ma non ce l’ha fatta perché «certe cose un numero non ce l’hanno». Ora cosa resta a Bobby, se non la fuga? Via da New Orleans, Knoxville e la baia petrolifera della Florida, da bettole, bagnarole e topaie. Un mondo popolato di reietti, ubriaconi e reduci – dall’amorevole trans Debussy al killer di blatte Borman al dandy dissacrante Sheddan – ma brulicante di vita e inventiva.
Via da tutto quel rumore, via dalle oscure macchinazioni del potere e dai peccati ereditati come da quelli bramati, verso una nuda bicocca dall’altra parte dell’oceano, verso un posto senza compagnia né legge né letteratura, dove non c’è altra realtà del ricordo e la fisica si fonde nella metafisica. Perché questo siamo noi: «dieci percento biologia e novanta percento mormorio notturno».

Recensione:
sì alcun brani sono ostici con una scrittura verbosa, ti chiedi cosa centra dissertare sulla meccanica o la fisica, sulla filosofia e sulla matematica o ricostruire con dovizia di dettagli la morte di Kennedy. Probabili virtuosismi dell'autore, elaborati dalla  frequentazione, negli ultimi anni, del Santa Fe Institute, un istituto di ricerca teorica del New Mexico dove scienziati di varie aree del sapere scientifico studiano la matematica e la fisica utilizzando metodi interdisciplinari.
Sì le parti in corsivo  all'inizio di ogni capitolo, una storia nella storia, dedicate interamente  alle allucinazione di Alicya, la giovane e bellissima sorella del protagonista, trascinano il lettore nel surreale e ti chiedi dov'è il collegamento?
Sì  qua e là non lo sai dove sei e non capisci  chi è entrato sulla scena e ti chiede ma perché?
Sì la ripetizione  pertinace della vocale  al posto della punteggiatura, del tutto assente nei dialoghi,  ti fa rimanere senza fiato durante la lettura.
Sì è  fatico e la parte più difficile non è quanto scritto fino ad ora, la parte difficile  riguarda la totale disillusione nei confronti della vita perché alcune affermazione inchiodano e poi scavano anche dopo aver chiuso la pagina, riguardano la condizione stessa della vita umana. Difficile confutarle, ancora più difficile accettarle. 

Ma cavolo ci vuole talento per scrivere una storia come questa, un talento da visionario e mi ha fregato: me ne sono innamorata. 

Mi ha fregato per la scrittura sublime, bella ed opprimente, lascia sgomenti per come si adatta ai brani e per quello che rivela.
Mi ha fregato con i dialoghi, una battuta dopo l'altra,  da rileggere perché non vuoi credere a quello che c'è scritto.
Mi ha fregato con la costruzione della trama senza una sequenza narrativa se non il continuo peregrinare di Bobby da un posto all'altro, nel passato e nel presente cercando di non dimenticare  Alicya. Mi ci sono persa nelle parole che disvelano alla continua ricerca.
Mi ha fregato con Bobby Western: un mistero  affascinante, un passeggero in arresto, alle prese con un lutto, con un senso di colpa, con un dolore che blocca: una disgrazia non può essere cancellata da nessun bene. Può solo essere cancellata da una disgrazia peggiore.  Bobby, senza tracce, come l'ultimo passeggero mancante all'appello; Bobby  che non si racconta da solo, si fa raccontare dagli altri, da quegli amici sopra le righe con cui  si ferma a parlare, a bere e mangiare a dissertare. Bobby  sempre lì anche se in viaggio, fino alla fine.
Mi ha fregato nell'ultimo capitolo, il più sottolineato, dove ho trovato l'uscita, dove  ho trovato MacCarthy, un intellettuale da salotto, un visionario oppure  semplicemente come tutti noi un passeggero della vita.  

Credo nella realtà del mondo. Più dura e scoscesa è la china più crediamo. Il mondo è qui. Non è altrove. Non credo negli aggiramenti.  Credo che i morti siano nella terra. 

Mi ha inchiodato ecco perché leggero Stella Maris, il prosieguo, la storia di Alicya Western.

Buona lettura e non lettura.


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