Recensione 13/190. Oceanides di Riccardo Capoferro.

Non era da me recitare un ruolo nei sogni altri, indossare una maschera che non avevo scelto o concepito. Fui testimone di un fatto turpe, che mio malgrado mi obbligò a una scelta, e per l'ennesima volta mi addentrai in un nuovo territorio, ma questo, in fondo, ha poca importanza, perché è per amore degli effetti, delle conseguenze remote, che mi dilungo sulle cause.

Oceanides
Riccardo Capoferro
Il saggiatore, pag. 496
Romanzo di avventura
⭐⭐⭐ / 5


Trama
Negli anni ottanta del Seicento, il giovane Kenton si imbarca per la Giamaica per lavorare in una piantagione di zucchero. Ma, convinto di essere destinato a cose più grandi, presto risponde al richiamo dell’avventura e della libertà: abbandona la piantagione e si unisce a una ciurma di bucanieri con i quali, appresa l’arte della navigazione e della pirateria, esplora i mari dei Caraibi, le acque del Pacifico e i chilometri di costa che preludono a foreste rigogliose. Ed è nella giungla di Darien – dove gli uccelli lasciano scie leggere e fuggevoli, e in un battito di ciglia sembrano moltiplicarsi – che Kenton sente il suo anelito di conoscenza esaltarsi. Lo sa bene: non esistono i draghi, gli unicorni o le sirene; ma nell’osservazione del mondo naturale c’è più di quanto sogni la mitologia. La sua indole di esploratore lo porta a riprendere il largo, in cerca di nuove terre, nuove verità. Sbarca quindi su un’isola enigmatica in cui vivono, in un lago dalle acque salvifiche, gli Oceanides, meravigliosi uccelli anfibi dalle cangianti piume azzurrine, entità affascinanti e indecifrabili che diventano la sua ossessione. Dedicherà la sua vita a loro e all’isola, deciso a comprenderne il segreto e destinato a rimanerne vittima. 

Recensione
Oceanides è  il diario di viaggio dell'esploratore Richard Kenton vissuto nel Seicento che oscilla continuamente tra il fuoco della ricerca e quello della disperazione. Come dichiarato dall'autore la storia si ispira alla vita del pirata e osservatore scientifico William Dampier (1651-1715).

Sono stata attratta dal resoconto di Kenton per appagare l'innata curiosità di scoprire nuovi spazi bianchi ancora da riempire. Incuriosita soprattutto da quell'isola difficile da raggiungere, ci si arriva solo navigando con gli astri, dove dimorano degli uccelli dal piumaggio cangiante, dove si nasconde un segreto. Kenton ne è ossessionato per questo l'ho seguito sperando di trovare, chissà, un nuovo Eden. 
Kenton affascina per il modo in cui descrive la natura generatrice di vita e signora della Morte. Affascina per il modo in cui scandaglia l'essere umano attraverso  i personaggi con cui condivide il viaggio: ogni incontro, ogni perdita, ogni azione è l'occasione per cercare di capire le spinte emotive, spirituali che si agitano nell'animo umano.  Però chiusa l'ultima pagina mi sono sentita naufraga con un'insoddisfazione latente per aver sondato spazi inesplorati, toccato porti affascinanti eppure non essere riuscita ad approdare, anche solo per breve tempo, in nessuno di questi. Tutto sfugge in questa storia lasciando un senso di caducità perenne.
Kenton è avido di conoscenza, è spinto da una curiosità insaziabile e come ogni esploratore, è pieno di vanità, senza la quale non avrebbe mosso un piede oltre l'uscio.  Per vanità abbandona il luogo d'origine seppellendo la nostalgia degli affetti, per vanità vive con la spietatezza dei filibustieri, dei bucanieri, dei corsari, per vanità scende a patti con il diavolo e scrive un diario di viaggio affasciante mischiando l'incredibile al reale. 
La vanità  di Kenton mi ha disturbato diverse volte e mi ha permesso di riconoscere l'inganno. Kenton è stato affabulato dall'isola, io sono stata affabulata da  Kenton, dalla scrittura impeccabile e fascinosa, da una capacità narrativa magnetica rara. Sono stata ammaliata ma alla  fine  ho dovuto fare i conti con la frustrazione per non aver compreso tutto, per non aver colto il segreto, per non essere riuscita nell'impresa dopo aver tanto navigato. Il resoconto di Kenton  è stato come le promesse fatte in mare che smettono presto di echeggiare.

Oceanides è un periplo intorno a qualcosa rimasto, per me, sfuggente, nonostante le tante sottolineature fatte durante la lettura per la bellezza di alcuni brani. 

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