Rubrica: Purché sia di serie. Recensione 7/143: La corte di nebbia e furia. Volume due serie Acotar

Finalmente dopo tanto tempo partecipo alla rubrica Purché sia di serie, ideata da Chiara con la collaborazione preziosa di Dolci Carloni autrice di tutti i banner compreso quello a seguire con note primaverili dove troverete l'elenco delle partecipanti.
La rubrica prevede lettura e recensione di un libro facente parte di una serie non ancora finita ma non il primo. 

Questo mese ho letto La corte di nebbia e furia il secondo volume della serie Acotar. La recensione al primo, La corte di rose e spine, la trovate qui

Recensione
Edizione digitale, pag. 622
Retelling, fantasy
Traduzione a cura di: Lia Desotgiu
Valutazione: ⭐⭐/5


Non c'è niente da fare, io e la Maas non andiamo d'accordo. Ci sono stata scomoda, scomodissima, in questa storia.  Ho volato a bassa quota, direi rasoterra fino a schiantarmi sul muro del finale. 




Trama
Dopo essersi sottratta al giogo di Amarantha e averla sconfitta, Feyre può finalmente ritornare alla Corte di Primavera. Per riuscirci, però, ha dovuto pagare un prezzo altissimo. Il dolore, il senso di colpa e la rabbia per le azioni terribili che è stata costretta a commettere per liberare se stessa e Tamlin, e salvare il suo popolo, infatti, la stanno mangiando viva, pezzetto dopo pezzetto. E forse nemmeno l'eternità appena conquistata sarà lunga a sufficienza per ricomporla. Qualcosa in lei si è incrinato in modo irreversibile, tanto che ormai non si riconosce più. Non si sente più la stessa Feyre che, un anno prima, aveva fatto il suo ingresso nella Corte di Primavera. E forse non è nemmeno più la stessa Feyre di cui si è innamorato Tamlin. Tanto che l'arrivo improvviso e molto teatrale di Rhysand alla corte per reclamare la soddisfazione del loro patto - secondo il quale Feyre dovrà passare con lui una settimana al mese nella misteriosa Corte della Notte, luogo di montagne e oscurità, stelle e morte - è per lei quasi un sollievo. Ma mentre Feyre cerca di barcamenarsi nel fitto intrico di strategie politiche, potere e passioni contrastanti, un male ancora più pericoloso di quello appena sconfitto incombe su Prythian. E forse la chiave per fermarlo potrebbe essere proprio lei, a patto che riesca a sfruttare a pieno i poteri che ha ricevuto in dono quando è stata trasformata in una creatura immortale, a guarire la sua anima ferita e a decidere così che direzione dare al proprio futuro e a quello di un mondo spaccato in due.

Recensione
Si dice il troppo stroppia ebbene è questa la frase con cui riassumo la lettura. Non so dirvi se la corte di nebbia e furia sia stata meglio o peggio della corte di rose e spine, ci sono stati dei momenti in cui ho pensato di sì per le molte, troppe, spiegazioni fornite dall'autrice sulle corti e sui personaggi, per l'inserimento del clan di Rhysand con cui si movimenta la storia, per il preannunciarsi di alcune coppie future,  ma si è trattato, ahimè, di brevi lampi, poi il buio. Così ho capito il problema: lo stile dell'autrice oscura il piacere della lettura.

La scelta della narrazione in prima persona si conferma, tra le mani della Maas, poco azzeccata. La storia continua ad essere zeppa di pensieri, a volte ripetitivi, della protagonista. Pensieri, elucubrazioni, ipotesi, sogni, con cui si toglie al lettore la possibilità di volare in alto costruendo la storia nel proprio immaginario. Un troppo che disturba non poco. A questo si aggiunge la disarmonia di alcuni brani inseriti male, la poca grazia nei dialoghi, non tutti, ma molti. 
Passiamo ai personaggi. Tamlin è stato del tutto abbandonato dalla metà del primo volume fino alle ultime pagine di questo dove riappare dal nulla oltretutto con un ruolo opposto a quello assegnato all'inizio; Rhysand e Lucien, quest'ultimo sul finale, perdono il loro fascino nel momento in cui l'autrice gli assegna battute infelici, a tratti grevi. Poi c'è il troppo nei capitoli, alcuni del tutto inutili: riassunti della storia ripetitivi, descrizioni di ipotetici quadri da dipingere, non dimentichiamo che Feyre è una pittrice, con cui si allunga un brodo già insipido. Che poi questo elemento della pittura pensavo avesse un significato, fosse legato a qualcosa di importante ed invece rimane lì, un esercizio stilistico noioso.
Ad un certo punto mi è venuto il dubbio che il problema potesse essere la traduzione magari qualcosa non ha funzionato tra scrittrice e traduttrice.

Stesso problema per la trama: si arriva alla fine tornando all'inizio, ma non del volume bensì della saga. Un tira e molla infinito nel triangolo amoroso tra Feyre, Tamlin, Rhysand con l'unico cambiamento nel ruolo tra le figure maschili mentre la protagonista avanza di carriera ad ogni fine.

Che cosa salvo? Le descrizioni del wordbuilding, degli abbigliamenti, delle figure fantastiche insomma l'involucro dentro al quale si muovono marionette sgraziate.
Perché continuo a leggerlo? Semplice per il gruppo di lettura dove sclero senza censure evitando così  il lancio del kindle nel cestino.

Il troppo storpia. Sì, è proprio il caso di dirlo. 

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