Recensione 34: "Resto qui" di Marco Balzano 4/5

Non ti racconterò la tua assenza. Non ti dirò una sola parola degli anni passati a cercarti, dei giorni sulla soglia a fissare la strada. [...]  No, non meriti di conoscere quei giorni di buio. Non meriti di sapere quanto abbiamo gridato il tuo nome. Quante volte ci siamo illusi di essere sulla strada giusta. È una storia che non ha ragione di riaccadere nelle parole. Ti racconterò invece della vita di noi, del nostro essere sopravvissuti. Ti dirò di quello che è successo qui a Curon. Nel paese che non c'è più.


Edizione cartacea 2018 - pag. 180


Trama
Trina è la narratrice di questa storia.
Trina è tedesca e poi  italiana in un paese  di confine nel Trentino Alto Adige che subito dopo la fine della prima guerra mondiale viene annesso al Regno d'Italia. La sua identità non è italiana e nemmeno tedesca, è data dai masi, dalla terra, dal bestiame allevato, dai monti  e dai sentieri.
Trina ha un sogno, quello di insegnare. Lo farà clandestinamente, nascondendosi dagli italiani fascisti, ai bambini che conoscono solo il tedesco perché non si può cancellare chi si è stati e chi si è da un giorno all'altro. Perché a lei l'italiano piace, è musicale, ma  lo odia se non l'avessi meccanicamente associato a quegli sbruffoni dei fascisti
Trina è madre di Michael e Marica. Il nome di quest'ultima sarà ripetuto all'infinito, come un eco ritornerà, ma al contrario, invece di affievolirsi si ingrandirà e scaverà il vuoto della mancanza. 
Trina è moglie di Erich un poveraccio e ha il pezzo di terra più piccolo del paese così le dice il padre, ma anche l'unico  attento e preoccupato per i cambiamenti che avvengono a Curon. La guerra in primis che  trasformerà  tutti i cittadini in merce da attrarre alla propria fazione, fascista, nazista, la diga poi che toglierà l'ultima briciola di appartenenza.
Trina è  la testimone  insieme a quel campanile che fa da monito ai visitatori,  per ricordare, al di là delle foto ricordo, che  al di sotto della superficie dell'acqua, dove l'occhio non può arrivare, c'è un paese sommerso. 
Curon, il paese che non c'è più.

Il mio punto di lettura
Un libro forte per il tema, per il periodo storico, la seconda guerra mondiale, per le vicende personali della protagonista. 
Una storia terribilmente vera, la costruzione della diga che nel 1950 ricoprì completamente il borgo di Curon, sgombrato, cancellato con le bombe al tritolo, ed una storia romanzata quella di Trina che perde la figlia, scomparsa senza lasciar traccia.
Il trait d'union  degli eventi è un tema che ho sentito molto forte: l'identità e la sua  perdita. Ad accompagnarci in questa discesa è la scrittura raffinata di Balzano che cattura subito il lettore.
Vivere al confine durante la guerra vuol dire passare dall'essere tedeschi all'essere italiani per effetto di un trattato che stabilisce a tavolino i nuovi confini con le perdite e le annessioni. Veder cambiare il nome del proprio paese, delle vie, delle insegne, non poter più usare la propria lingua, veder arrivare veneti, lombardi, siciliani nei posti pubblici è un perdere l'identità.
Ritrovarsi senza la figlia, ancora bambina, da un giorno all'altro. Non sapere più nulla di lei se non che forse è andata in Germania nel Reich  per poter studiare da tedesca ed avere una vita migliore, rinnegando  le sue radici,  vuol dire perdere una parte di sé. 
Ritrovarsi fuggiaschi, disertori perché quella guerra  è italiana, è tedesca, ma non è di chi vive in quei monti, in quelle valli, significa perdere l'identità.
Assistere a braccia conserte alla sparizione della propria casa, della propria stalla, della propria bottega. Un cumulo di polvere e poi un cumulo di acqua da cui svetta la torre del campanile, l'unica ad essere salvata, vuol dire perdere del tutto la propria identità.
Si muore solo per la stanchezza. La stanchezza che ci danno gli altri, che ci diamo noi stessi, che ci danno le nostre idee. Non aveva più le sue bestie, il suo campo era stato sommerso, non era più un contadino, non abitava più il suo paese. Non era più niente di quello che voleva essere e la vita, quando non la riconosci, ti stanca in fretta. Non ti basta nemmeno Dio.
E allora forse sarebbe stato meglio partire, abbandonare quel posto fonte di tanta sofferenza e Trina più volte lo ha chiesto ad Erich ma lui non è mai voluto andare via. Con una fermezza stoica, nonostante la ferocia degli eventi che si susseguono rimane dove è nato, dove sono nati i suoi genitori ed i suoi figli, nel posto in cui c'è la sua identità.

Una lettura consigliatissima con la nota dell'autore a fine libro molto interessante. 


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