Recensione 39 : "Le otto montagne" di Paolo Cognetti 4/5

 Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene. La sua era senz'altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono i mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erba d'alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all'inizio dell'estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre.


Edizione cartacea 2018 - pag. 200

Le otto montagne mi osserva da un po'. Stipato al secondo ripiano della libreria in mezzo ai volumi appena conclusi. Mi guarda e capisco cosa mi sta dicendo con tono stizzito:  <<Ma quando arriva il mio momento? Mi hai letto, ma quando... Quando parli di me?>>
Ed io abbasso gli occhi, colpevole di non averlo fatto fino ad oggi. Gli sono passati davanti, senza rispettare la fila, i due libri letti  dopo e già commentati. 
Il motivo, caro mio libro, è che la tua recensione mi mette pensiero perché le parole che ti riguardano sono troppe come le emozioni, gli odori, i colori, le sensazioni provate attraverso le pagine e dargli un ordine non è facile. 
Oggi ho deciso, ho fatto un mea culpa ed ora inizio a parlare di te.

Di Paolo Cognetti avevo già letto Sofia si veste sempre di nero  per questo sapevo che avrei avuto tra le mani una scrittura brillante, ricercata, intensa, ma con questa storia si va oltre, si va dentro alla montagna,  la protagonista indiscussa con le sue leggi, i suoi cicli e soprattutto i suoi paesaggi.  Ci ritroveremo a scalarla, costeggiarla, ci inerpicheremo fino alla vetta per poi ridiscenderla, ascoltando suoni, annusando odori, osservando spazi che l'autore dimostra di conoscere profondamente. Ed è stata la componente  sensoriale del libro a sconvolgermi. Merito della scrittura, ovviamente.

Un odore di fieno, stalla, legna, fumo e chissà cos'altro mi aveva investito appena sceso dalla macchina, carico di promesse.

Lo annusai, per la verità,  prima di vederlo, perché aveva addosso lo stesso odore di stalla, fieno, latte cagliato, terra umida e fumo di legna, che per me da allora è sempre stato l'odore della montagna.

Il bello dei laghi alpini è che non te li aspetti, salendo, se non sai che ci sono, e non li vedi finché non fai un ultimo passo, superi l'altezza dell'argine e a quel punto, davanti agli occhi, ti si apre di colpo un paesaggio nuovo.

L'autore narra una storia apparentemente semplice, ambientata negli anni '80. La famiglia di Pietro, la voce narrante, vive a Milano. Gianni, il padre,  è un uomo solitario che si fida poco delle persone, lavora in fabbrica e mal sopporta la vita cittadina. La madre invece è un'assistente sanitaria in un consultorio familiare,  una donna di relazioni, altruismo ed empatia. Entrambi vivono con malcelata insofferenza la vita di città, del resto sono cresciuti sulle Dolomiti ed in casa si parla il dialetto veneto. La nostalgia per la montagna li spinge a prendere in affitto una casa,  tra vallate e ghiacciai, nel paesino di Grana, abitato da pochissime anime, al confine tra  Piemonte e Val d'Aosta.  Qui Pietro passerà tutte le sue estati, per molti, molti anni.  Ed è sempre qui che la famiglia  ritrova la versione migliore di sé e quel padre solitario e schivo si trasforma in allegro e loquace:
sapeva una volta per tutte di aver avuto due padri: il primo era l'estraneo con cui avevo abitato per vent'anni, in città [...]  il secondo era il padre di montagna, quello che aveva solo intravisto eppure conosciuto meglio l'uomo che mi camminava alle spalle sui sentieri, l'amante dei ghiacciai 
Tanti i temi affrontati dall'autore, un libro toccante. Si parla dell'amicizia, quella decennale tra Pietro e  Bruno, un bambino di Grana, un montanaro;  delle relazioni, difficili, complesse, turbolente con quel padre diviso a metà, con un segreto familiare celato nei non detti, nascosto dentro alla scelta di abbandonare le Dolomiti per rifugiarsi nella grigia e monotona Milano; della solitudine  che emerge da tutti i personaggi, una solitudine accentuata dal magico silenzio di quella montagna che svetta sullo sfondo.

Le otto montagne è un  romanzo di formazione di chi resta e di chi va. Pietro, quello che va via, il villeggiante cittadino, vive la montagna solo d'estate, per lui tutto il paesaggio è una perenne estate. Bruno quello che resta, conosce ogni stagione della vita in alta quota, l'asperità dei lunghi inverni e l'ostinazione di rimanere attaccati alla vita.
Su tutto domina la montagna, una madre severa, una presenza rassicurante ed a tratti ingombrante che nel ripetersi delle sue stagioni scandisce la crescita dei due bambini in adulti,  il cambiamento della loro amicizia, fino all'epilogo finale. 
Leggere Cognetti  porta inevitabilmente a sentire. La scrittura dell'autore ha questo pregio, stimola il lettore  lasciandogli uno spazio da riempire con riflessioni,  pensieri, domande ed emozioni. 

Commenti

  1. Anche io ho avuto le stesse sensazioni leggendo questo libro. Mi ha colpito la descrizione degli odori , che per me che sono nata in montagna sono sensazioni conosciute, il senso si acutizzava durante la lettura e riuscivo a tornare indietro nel tempo. Posso capire Gianni; non è facile vivere in una soffocante città quando il richiamo è quello della montagna.

    RispondiElimina

Posta un commento