Recensione 24/123: "Carlo è uscito da solo" di Enzo Gianmaria Napolillo

 Il gusto che, a volte, vivere possiede.

La storia di Carlo arriva piano piano, in silenzio un passo dopo l'altro, poi ad un certo punto scuote con movimenti tellurici, con quei guizzi inaspettati di cui è capace il protagonista quando la vita si fa gustare.


punto di lettura
Edizione cartacea
pag. 248
valutazione ⭐⭐⭐/5

Carlo ha trentatré anni e non esce mai da solo. Vive con il padre Anselmo, la madre Rita e  Giada la sorella più piccola. Carlo non parla ormai da molto tempo il suo mondo è la musica, ascoltata con le cuffie per ore nella sua stanza, quando la mente tenta di risvegliarsi, la paralizza alzando al massimo il volume, ed i numeri.  Le note e la matematica lo  hanno sempre protetto,  hanno creato una barriera invalicabile. Ma Carlo non è sempre stato così, la sua famiglia lo sa, prima dell'assenza e dello smarrimento lui c'era stato.
Ogni giorno Carlo e Anselmo si recano al solito bar un passo dopo l'altro, senza pensare. É così che Carlo segue suo padre per le scale e poi fuori dal portone di casa. Una mattina però a servirli c'è Leda, la nuova ragazza. Leda è gentile, delicata e capisce subito che avere l'attenzione di  Carlo è un privilegio perché lui è come lei: solo.  Leda riuscirà ad incrinare la barriera di Carlo con uno spruzzo di zucchero a forma di  sorriso e due puntini a sembrare due occhi in un piattino della colazione.  Dalla crepa uscirà la voce narrante debole, spezzata e poi piena, ferma.

L'autore ha saputo descrivere il dramma di Carlo e quello della famiglia attraverso una storia corale in cui ognuno vive il suo pezzo di sofferenza. Quella di Giada in attesa del ritorno del fratello dal buio in cui è avvolto; quella de genitori  smarriti per non aver protetto, per non aver saputo comprendere cosa stava accadendo a quel figlio sempre più lontano; quella del protagonista resa muta.
Carlo è uscito da  solo è una storia difficile per i temi trattati con alcuni brani forti eppure è  scritta con una delicatezza incredibile.  Non si possono addomesticare il dolore, la solitudine, l'autolesionismo senza compassione e vicinanza. La scrittura di Napolillo contiene entrambe: compassione e vicinanza, le usa per raccontare il dolore pungente ma anche  quel gusto che, a volte, vivere possiede. E allora eccole le scosse telluriche nei brani in cui domina la violenza gratuita da subire senza fiatare nascondendosi il più lontano possibile dove nessuno potrà trovarci. Eccoli  i guizzi inaspettati  di Carlo in cui balugina un'idea, in cui prende vita un'azione, in cui i sentimenti lampeggiano e allora capisci quanto la Vita sia potente basta aprirle una crepa  per  farla tornare a vibrare. 

Ho apprezzato molto il modo in cui ci viene racconta  la storia di Carlo,  i capitoli brevi ed i titoli degli stessi,  uno di questi apre il post  Il gusto che, a volte, vivere possiede  una frase perfetta, riletta più volte scritta qui più volte,  non a caso chiuso il libro mi sono accorta di aver sottolineato soprattutto le frasi in cui la vita arde  in una storia in cui sembrerebbe non esserci neanche una scintilla. 


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